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      Le sette vite di un creativo irriverente
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      Le sette vite di un creativo irriverente
      Le sette vite di un creativo irriverente
      Le sette vite di un creativo irriverente

      Tinin Mantegazza

      Le sette vite di un creativo irriverente

      20,00 €

      Sono nato in una bella famiglia ricca di umorismo. C’è chi nasce extracomunitario (svizzero o sudanese che sia) chi figlio di obesi, chi intonato o stonato, io sono nato con educazione nel bene e nel male aristocratica e devota con ben due Papi a carico che però non ho avuto il piacere di conoscere, quindi non hanno potuto influenzare la mia preparazione morale. Semmai ci ha pensato mia nonna Camilla, rigida marchesa sardo-ligure che disprezzava con veemenza (da destra) i borghesi e tutte le loro avidità e grettezze: “Sono bottegai”. Comunque, non avendo certezze sull’esistenza di un aldilà, presumo che nessun antenato lassù si possa preoccupare del mio operato. Ma, se vogliamo tirare in ballo i due Pontefici di famiglia, il più antico, Lamberto dei Fiagnano, imolese, salì al trono in modo politicamente discutibile con il nome di Onorio II, però durante i suoi sei anni di regno (1124-1130) fu un buon Papa, politicamente abile. L’altro, molto più recente, infatti mia madre da ragazzina lo conobbe di persona, regnò dal 1914 al 1922, era ligure come me, vissuto in un periodo disastrato da una guerra mondiale, come me, con un’Italia dalla democrazia fragile, come me. Benedetto XV, al secolo Giacomo della Chiesa, lottò con energia, anche se fu spesso inascoltato, in favore della pace. Pur con queste similitudini non ho nessuna intenzione di candidarmi Papa, preferisco disegnare, dipingere e scrivere: dopo i Pontefici, i grandi artisti: posso vantare discendenza di poeti e pittori di una certa notorietà decisamente sproporzionati alla mia ben più modesta persona, l’impegno politico mi sta bene e mi piace, anche se qualche volta riunioni, beghe e malandrinerie sono davvero sprechi del tempo da vivere, altre volte invece si tratta di incontri umani, di passionalità ideali e quindi stimoli dei quali la vita e la creatività hanno bisogno. Farò un esempio: io dipingo il blu, il mare che vedo dal mio studio e che fisso sulla tela: un vero godimento; certe volte però, riandando agli incontri politici con le persone e alla loro conquistata responsabilità nei confronti del proprio volto, dipingo ritratti cercando di far trasparire il loro animo. In alcuni casi dietro la tela ho scritto “faccia di merda”. Comunque i politici ne hanno fatti e ne fanno di danni. L’elenco sarebbe infinito, pensiamo, ad esempio, al nazista Cavalier Goebbels, grande comunicatore, così almeno credeva lui. Delle opinioni di cotale figura non mi impiccio, non è stato né sarà l’unico a diffidare della cultura, ma ne diffidava. Quando non si conosce una cosa se ne diffida. È normale. Se per cultura si intende sapere il passato, quei diffidenti acculturandosi potrebbero evitare di commettere errori. Se per cultura significa conoscere le arti e i beni artistici, quei diffidenti non sanno quello che perdono. Se quei diffidenti confondono la cultura con l’erudizione potrebbero aver ragione, anche a me i “sapienti” da Settimana Enigmistica fanno paura e gli “opinionisti” televisivi fanno terrore. L’ultima trovata per immiserirci sono le globalizzazioni, mi sembrano la metamorfosi cinica della mondialità e dell’internazionalismo. Per fare un esempio banale io, residente in Romagna terra della piadina vorrei importare quell’impasto da forno fatto con la farina di ceci che in Toscana si chiama “cecina” e in Liguria “farinata”. Questo però non vuole essere un attentato alla sopravvivenza della piadina, ma un allargamento delle possibilità di godimento gastronomico e arricchimento culturale. È già successo con il pesto genovese o con la pizza napoletana, o con gli involtini primavera, o con il gelato, o con il vino, o ancor meglio, con la poesia e la pittura, e il cinema, e la musica. L’incontro tra differenti culture e tradizioni allarga la visuale. La globalizzazione invece va vista come omologazione, come colonizzazione culturale ed è un errore, una prevaricazione, un fallimento. Perché ho scelto di vivere in Romagna? Sono cresciuto d’inverno a Milano e d’estate in Liguria. Ho sempre desiderato il mare. Anche d’inverno. Il mio incontro con Cesenatico è stato casuale, come molte cose della vita. Ho trovato degli amici veri, una popolazione importante, colta, generosa. Non a caso è la terra di Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Federico Fellini, Pellegrino Artusi, Olindo Guerrini, Dante Arfelli, Marino Moretti, tanto per citarne alcuni. Una buona compagnia. Difficile è essere all’altezza. Non so proprio cosa farò da grande, ho dedicato quasi tutta la vita all’infanzia. Ho scritto molto teatro e molta televisione per i più piccini, cercando di offrire loro cose di gusto, spettacoli che in qualche modo li aiutassero a crescere bene e contribuire a una futura umanità migliore.

      (Tinin Mantegazza)

       

      Tinin Mantegazza (Varazze 1931 – Cesena 2020) crebbe a Milano fin da bambino, ma visse per anni a Cesenatico. Regista, illustratore, pittore, organizzatore teatrale, giornalista, lavorò soprattutto nel teatro per ragazzi. Nel 1958 iniziò a collaborare con la Rai firmando alcune importanti produzioni rivolte ai ragazzi come le Telefiabe e l’Albero azzurro, per cui inventò il pupazzo Dodò. Fondò nel 1977 l’ASTRA (Associazione teatro ragazzi) e nel 1978 il Teatro del Buratto; diresse il Teatro Verdi e collaborò per oltre diciott’anni con Enzo Biagi in televisione.

      collana: i cataloghi

      anno: 2019
      pagine: 192
      formato: 22x22cm
      ISBN: 978-88-32116-17-5

      arte, bambini, biografia, disegno, illustrazioni

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